L’estate trasforma il banco frigo dei supermercati in un campo di battaglia del marketing alimentare: claim salutistici e termini ingannevoli orientano le scelte più di quanto sembri.
L’acquisto di un gelato o di un ghiacciolo può sembrare banale, ma dietro a ogni confezione si nascondono strategie raffinate dell’industria alimentare. Cagliari, Milano o Roma: ovunque, nelle corsie dei supermercati, la scena si ripete identica. Un consumatore prende un prodotto “alla frutta”, convinto di compiere una scelta genuina, salvo poi scoprire che il contenuto reale di frutta è ben lontano dalle aspettative. Nel 2025 i controlli indipendenti sulle etichette confermano una tendenza già nota negli anni passati: le denominazioni sono spesso più persuasive che informative.
Denominazioni fuorvianti e aspettative tradite
Quando leggiamo “gelato alla frutta” o “ghiacciolo naturale”, la nostra mente associa immediatamente il prodotto a un alimento fresco e salutare. È un effetto psicologico ben studiato: diversi esperimenti di psicologia del consumo hanno dimostrato come l’uso di parole come “naturale” o “light” aumenti la percezione di salubrità, indipendentemente dal contenuto reale.

In Italia, il Decreto Ministeriale del 30 marzo 1994 fissa dei paletti chiari: un gelato alla frutta deve contenere almeno il 15% di frutta, mentre per il gelato di frutta la soglia sale al 20%. Numeri che sembrano rassicuranti, ma che nella pratica lasciano spazio a un’ampia quota di altri ingredienti: acqua, zuccheri, addensanti, aromi e coloranti possono arrivare a rappresentare la parte predominante della ricetta.
Un’indagine condotta nel 2025 su oltre 30 prodotti in vendita nei principali supermercati italiani ha evidenziato che, in media, la percentuale di frutta effettiva è inferiore al 20%, con picchi al ribasso che arrivano al 10%. Un divario notevole rispetto alle attese di chi, leggendo l’etichetta, immagina un dessert quasi interamente composto da polpa fresca.
Il mito del “naturale” e il ruolo degli aromi
Il termine “naturale” è regolamentato a livello europeo: può comparire in etichetta solo se gli aromi provengono da processi fisici, enzimatici o microbiologici di materie prime naturali. In concreto, però, la realtà è ben diversa da ciò che molti consumatori immaginano.
Un ghiacciolo con aroma “naturale” al limone può contenere pochissimo succo di agrume ed essere caratterizzato quasi esclusivamente dall’aggiunta di composti aromatici ottenuti industrialmente. Il risultato è un gusto intenso e convincente, ma che non deriva dalla presenza reale di frutta.
Test di laboratorio eseguiti nel 2025 da associazioni di tutela dei consumatori hanno confermato che gran parte dei ghiaccioli in commercio contengono meno del 5% di succo. L’esperienza sensoriale è ottenuta con l’aiuto dei cosiddetti flavor engineers, figure specializzate nel costruire sapori artificialmente accattivanti anche con materie prime ridotte al minimo.
Dolcificanti e diciture “senza zuccheri aggiunti”
Un altro elemento che genera confusione è la scritta “senza zuccheri aggiunti”. Secondo i regolamenti europei, può essere usata solo se nel prodotto non sono stati inseriti zuccheri monosaccaridi o disaccaridi, né ingredienti a scopo dolcificante.
Molti gelati e ghiaccioli “sugar free” impiegano dolcificanti come sorbitolo, mannitolo, xilitolo, maltitolo ed eritritolo. Rispetto al saccarosio tradizionale hanno meno calorie, ma il rovescio della medaglia è noto: se assunti in quantità elevate possono provocare effetti lassativi o disturbi gastrointestinali. Per questo motivo, quando il contenuto supera il 10%, la dicitura di avvertenza è obbligatoria in etichetta.
Una revisione pubblicata nel 2025 su una rivista di nutrizione clinica ha confermato non solo gli effetti gastrointestinali, ma anche un rischio meno immediato: il consumo frequente di dolcificanti ad alto potere dolcificante può mantenere alta la soglia di desiderio per i cibi molto zuccherati. In altre parole, invece di educare a un gusto meno dolce, rischiano di consolidare la preferenza per alimenti intensamente zuccherini.
Consumatore informato e nuove sfide
Il tema centrale resta la consapevolezza. Nel 2025 le associazioni dei consumatori chiedono un’etichettatura più trasparente, con indicazioni chiare sulla percentuale reale di frutta, la provenienza degli aromi e la presenza dei dolcificanti. Alcune catene della grande distribuzione hanno iniziato a introdurre linee “clean label”, con liste ingredienti ridotte e frutta in quantità superiori al 30%, ma si tratta ancora di eccezioni più che di regola.
La sfida, per il consumatore, è quindi quella di andare oltre le parole accattivanti sul packaging. Leggere l’etichetta con attenzione, conoscere le normative e saper distinguere tra aroma naturale e reale contenuto di frutta diventa fondamentale per non cadere in illusioni di marketing.
La riflessione è ancora più attuale in un Paese come l’Italia, dove il consumo di gelati e ghiaccioli continua a crescere: nel 2025 si stima un incremento del 7% rispetto all’anno precedente, con picchi estivi che confermano la centralità di questo mercato. In un contesto del genere, la differenza tra un’informazione chiara e una comunicazione fuorviante può orientare milioni di acquisti.
Il banco dei gelati rimane quindi un osservatorio privilegiato non solo dei gusti degli italiani, ma anche delle tecniche con cui l’industria alimentare plasma le scelte quotidiane. Dietro a un semplice ghiacciolo si nasconde un intero universo di regole, inganni e strategie che raccontano quanto sia sottile il confine tra realtà e percezione.