La richiesta di accedere alla Naspi non può essere frutto di un accordo individuale con l’azienda, ma solo conseguenza di un licenziamento. Ecco come funziona per chi è vicino alla pensione di vecchiaia.
Un lettore ha posto un quesito molto diffuso: «Ho 65 anni e ho chiesto alla mia azienda di licenziarmi per usufruire della Naspi fino alla pensione di vecchiaia. È possibile con un accordo?». La risposta, arrivata attraverso la piattaforma Chiedi all’Esperto curata da L’Economia del Corriere della Sera, è stata netta: no, non è sufficiente un’intesa privata. La normativa stabilisce che la Naspi spetta solo a chi perde il lavoro per cause indipendenti dalla propria volontà, ossia per licenziamento effettivo o scadenza di contratto, non per scelta concordata.
Il chiarimento, fornito dal consulente del lavoro Dario Ceccato, ha riportato l’attenzione su un punto che spesso genera confusione: l’indennità di disoccupazione non è un diritto automatico legato all’età, ma dipende da condizioni precise e verificabili.
Le regole della Naspi per chi è vicino alla pensione
La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego è lo strumento che assicura un reddito temporaneo a chi perde il lavoro involontariamente. Spetta ai lavoratori dipendenti, compresi gli apprendisti, e viene erogata per un periodo massimo di 24 mesi, con importi calcolati sulla base delle ultime retribuzioni percepite.
Per accedervi servono alcuni requisiti: almeno 13 settimane di contributi negli ultimi quattro anni e 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti alla cessazione. Ma soprattutto, la condizione principale è la perdita del lavoro per cause non imputabili al dipendente.

E qui si inserisce la questione sollevata dal lettore. A 65 anni, chi non ha ancora raggiunto i requisiti per la pensione anticipata può pensare di utilizzare la Naspi come ponte fino ai 67 anni, età in cui scatta il diritto alla pensione di vecchiaia. La strada è percorribile, ma solo se la cessazione del rapporto deriva da un licenziamento aziendale. Un accordo tra lavoratore e datore di lavoro, invece, non basta.
Per i casi particolari, la legge prevede eccezioni come le dimissioni per giusta causa (mancato pagamento dello stipendio, molestie, variazioni peggiorative delle condizioni di lavoro) o la maternità. In tutti gli altri casi, dimettersi volontariamente significa rinunciare al diritto di ricevere la Naspi.
Il tema non è secondario. Molti lavoratori che si trovano a pochi anni dalla pensione si interrogano su come non rimanere senza reddito. E spesso, in assenza di informazioni corrette, rischiano di intraprendere strade che poi li lasciano scoperti.
Il legame con la pensione di vecchiaia
La pensione di vecchiaia, secondo le norme in vigore, si ottiene a 67 anni con almeno 20 anni di contributi. Chi a 65 anni non ha ancora i requisiti per la pensione anticipata può quindi “coprire” i due anni mancanti attraverso la Naspi, se licenziato. Questo meccanismo è utilizzato da molti come una sorta di ammortizzatore sociale, che permette di arrivare al traguardo senza interruzioni di reddito.
Il calcolo dell’assegno pensionistico resta legato al sistema contributivo. Questo significa che l’importo finale dipende dai versamenti effettuati durante l’intera carriera lavorativa. Durante il periodo di Naspi, i contributi figurativi continuano a maturare e vengono accreditati dall’INPS, seppur in misura ridotta rispetto a quelli da lavoro. È un aspetto che incide sull’importo finale, ma consente comunque di non interrompere la posizione assicurativa.
L’interpretazione fornita dagli esperti, in questo senso, aiuta a chiarire un equivoco frequente: non basta un accordo verbale con l’azienda per avere diritto alla Naspi. Serve un provvedimento formale, registrato e comunicato, che attesti il licenziamento. Solo così l’INPS riconosce l’indennità.
La piattaforma “Chiedi all’Esperto” ha raccolto migliaia di domande simili. Molti lettori chiedono se basti la volontà comune di interrompere il rapporto, altri vogliono sapere se le dimissioni possano trasformarsi in un diritto alla Naspi. La risposta è sempre la stessa: conta solo la natura del licenziamento.
Il dibattito non si limita al caso singolo. In un Paese dove la popolazione invecchia e i percorsi lavorativi sono sempre più discontinui, strumenti come la Naspi assumono un ruolo cruciale. Aiutano a coprire i periodi di vuoto contributivo e rappresentano un sostegno reale per chi deve attendere l’età pensionabile.